Torno in ospedale dopo un weekend a casa. Mi pesano.
《Sei calata. Ti spostiamo in reparto fino a mercoledì e poi ti spostiamo al centro di ricovero. Nel pomeriggio passeranno le infermiere a metterti il sondino, chiama i tuoi genitori e fatti portare il necessario per la notte.》
《Io il sondino lo rifiuto.》
《Mi spiace, ma questi erano i patti.》
Entro in reparto di medicina 2. Un odore di guanti in lattice misto a urina intrappolata nei materassi e di disinfettante mi inonda le narici.
Entrano le infermiere. È finita, ho perso.
《No,no. Dammi il tubo più grande.》 Non realizzo.《Rilassa la gola o farà più male.》
Faccio un respiro profondo. Sento il tubo scendere e grattare le pareti dell’esofago, giù fino allo stomaco. Da fastidio.
Tremendamente fastidio.
Non riesco a fermare i dotti lacrimali; le ghiandole non smettono di produrre saliva che non riesco a ingoiare; il naso continua a colare, ma non riesco a soffiarmelo. In un attimo mi ritrovo la faccia piena di muco, saliva e lacrime. D’improvviso mi sento debole.
Entra in stanza mia sorella e mi sento come un cane bastonato.
Arriva anche mia madre e avrei voluto non vedere tutta quella pena nei suoi occhi. Sarei voluta sparire.
Dopo cena sento il sondino sfilarsi e chiamo le infermiere.
《Volevi togliertelo eh?》
Mi accusano.
Me lo rispingono giù a forza senza aspettare che rilassassi la gola. Una tortura.
《Basta! Toglietelo! Giuro che lo bevo ma mi fa troppo male!》
《Dovevi pensarci prima.》
Fanculo.